Dal dubbio alla speranza
Un incontro basato sull’equivoco. Fin dal sottotitolo, “tra fede e dubbio”, il terzo appuntamento con la catechesi del Gifra confonde e invita quanto meno a sostare. “Tra”, come se in mezzo ai due termini “fede” e “dubbio”, connotati come antonimi – opposti – possa esservi dello spazio e non siano piuttosto due elementi inscindibili l’uno dall’altro, come se la fede non si nutrisse di domande ed il dubitare non avesse bisogno di una fede su cui sostenersi.
Non a caso Pier Mario Ferrari, filosofo e teologo, tra i relatori più affezionati del Gifra, tenta di sgombrare subito il campo dal fraintendimento. «Già Abelardo – esordisce davanti ad un pubblico ancora una volta nutrito, vicino alle 140 presenze della scorsa settimana – scrisse “sic et non”, ripreso dai filosofi contemporanei come “non togliere mai il sì dal no ed il no dal sì”». E non occorre scomodare pensatori atei per rendersi conto della profonda comunione di questi due concetti. «La Bibbia – commenta Pier Mario Ferrari – nella resurrezione ci mostra il non credere di alcuni apostoli. Le stesse narrazioni evangeliche non descrivono la difficoltà di un cammino di fede? Allo stesso modo l’incertezza degli apostoli. La fede “ab-soluta” – sciolta da ogni dubbio – è possibile?».
Difficile quando si pensa che perfino gli apostoli non rappresentano un esempio di fede totalizzante; l’incredulo per antonomasia del resto è proprio uno dei Dodici, san Tommaso, anche se Gesù non sembra rimproverargli un’assenza di fede. «Pietro – aggiunge Ferrari – è una roccia per certi aspetti mancata. L’evidenza immediata del discepolo di fronte alla morte di Gesù è di una percezione paradossale, angosciante: un morto vivo; un morto che non è più morto non è facile da credere e accettare. Perfino i mistici hanno dubitato “se esista il cielo”, Santa Teresa di Lisieux concluse la sua vita con una crisi spirituale».
Tuttavia un conto è il dubbio “sulla fede” un conto l’assenza “della fede”, che con un forte valore simbolico il filosofo Emanuele Severino – il cui pensiero è stato il trait d’union della riflessione di Pier Mario Ferrari – definisce in un suo libro “Quel lampo nella notte”. «Per Severino – afferma Ferrari – il puro credere è impossibile, allora il discepolo più che altro “crede di credere”. Su questo ha riflettuto in un libro omonimo Gianni Vattimo: quante cose crediamo anche senza averle viste direttamente? Crediamo nella Papuasia anche senza esserci mai stati. E’ una vecchia questione illuministica quella del divorzio tra conoscenza e fede, secondo cui se uno sa non crede e se crede non sa. Questo è superato… La fede può essere vista come una scommessa: sperando di vincerla, ma senza esserne mai così sicuri».
La semiotica con l’americano Charles Sanders Pierce, direbbe una “abduzione”, procedimento conoscitivo che si colloca accanto a deduzione ed induzione e, a fronte di una premessa certa e di una seconda premessa dubbia, trae una conclusione plausibile, unico meccanismo mentale capace di produrre un surplus di senso. Dove infatti deduzione ed induzione rendono evidente un significato già presente, l’abduzione allarga i confini della conoscenza scoprendo un significato non ancora presente e solo, alla meglio, intuito. Qualcosa che sembrerebbe molto simile tanto alla ricerca scientifica quanto alla fede.
Allora «il lascito di Gesù, anche se avvolto in una miniera di dubbi, forse è proprio un lampo che illumina la notte… La verità appare a ogni uomo, all’idiota, al dotto, al delinquente, al ricco, all’ignorante. In tale apparire splende la gioia. In cosa può consistere la gioia estrema? La gioia della verità che nasce nel profondo di noi stessi: ogni dolore patito è già superato. La gioia si fa sentire anche quando si è nella sofferenza. Questa è una citazione delle beatitudini. L’angoscia estrema di Teresa alla fine della vita la porta a sentire una gioia diversa. Si tratta di dire addio ai dubbi ed alle paure, ai turbamenti di fronte a ciò che è divenuto impossibile, pronunciando un altro “ad-dio”. Addio al dubbio se nel frattempo pronunci un altro “ad-dio”, un rivolgersi a Dio proprio nel momento in cui dio sembra scomparire ed essere assente». Perché, attraverso le parole di Soren Kierkegaard, «Padre celeste! In molti modi tu parli a un uomo… Tu parli anche quando taci, perché parla anche colui che tace, per provare l’amato… Oh, nel tempo del silenzio, quando un uomo languisce nel deserto e non sente la tua voce: allora è forse per lui come se essa fosse quasi del tutto svanita. Padre celeste, è ben questo il momento del silenzio dei confidenziali colloqui…». Il dubbio pare diventare così, con Gesualdo Bufalino, «una passerella che trema tra l’errore e la verità». Non scommessa, ma Speranza.