Dispersi tra bene e male
Un tortuoso cammino nella mente umana. Forse troppo. Più che “tra bene e male” il penultimo appuntamento con la catechesi autunnale del Gifra si è snodato negli assai intricati meandri della psiche dell’uomo; Eugenio Borgna, psichiatra di stampo fenomenologico di fama nazionale e per anni docente presso l’università degli studi di Milano, ha condotto i presenti in un garbuglio di connessioni, suggestioni, lampi che hanno lasciato più che altro intuire la profondità di una contrapposizione ineffabile come quella tra bontà e malignità, così fuse l’una nell’altra da non poter essere sciolte senza perderle entrambe. “Che mai farebbe il tuo bene se non esistesse il male, e come apparirebbe la terra se vi scomparissero le ombre?”, scrive Bulgakov ne “Il maestro e Margherita”: «Guai – ha affermato Borgna – se ritenessimo di essere totalmente esclusi dal rischio o dalla tentazione di fare del male. Bene e male sono parte di noi… Perfino il male minore può essere portatore di angoscia e dolore per gli altri. Anche solo con le parole si può essere portatori di male. Le parole possono avere risonanze dolorose». Qualcosa di cui ogni persona fa esperienza nel quotidiano, quando sceglie una parola troppo dura mentre ne sarebbe bastata una più docile, quando usa la parola giusta, ma nel momento tragicamente sbagliato, qualcosa di talmente presente nella vita di tutti giorni da sembrare pressoché ineliminabile. Come cercare, intrappolati nella melma indistinta di bene e male, di uscirne puliti? «Quasi mai – ha cercato di spiegare a più riprese lo psichiatra – si riflette sulla corrispondenza tra ciò che facciamo e i nostri sentimenti. Quanti sentimenti si celano nei nostri cuori? Forse è impossibile conoscere quanti sentimenti albergano nel nostro cuore. Sant’Agostino, nelle sue Confessioni, dice che “è più facile conoscere il numero dei miei capelli che quello delle emozioni, sentimenti, pensieri che ho dentro di me”. Ebbene bisogna sempre guardare dentro di noi, cogliere i sentimenti che nascono in noi di fronte ai comportamenti degli altri così come quelli che nascono negli altri di fronte ai nostri. La prima acqua stillante da far sgorgare è questa: ripensiamo alle nostre giornate e ai nostri sentimenti. Pensiamo a quanta apatia o incomprensione a volte dimostriamo nei confronti degli altri, sembra banale riflettere a fine giornata sul male fatto o non fatto, eppure santa Teresa di Calcutta scrisse che avrebbe preferito che le sue consorelle non fossero capaci di accogliere donne e uomini abbandonati senza essere con loro gentili. Meglio non fare opere buone, che rinunciare a un sorriso, a un gesto di gentilezza».
Proprio questa forza è emersa con chiarezza, nell’universo frammentario presentato da Borgna. Nell’impossibilità di ricondurre ad un insieme il mondo del bene e del male, meglio raccogliere quei germogli che fioriscono da questa terra: il gesto, i gesti, nella loro piccolezza che li rende al contempo tanto insignificanti quanto capaci di far esplodere una rivoluzione. «I ghiacciai freddi ed impenetrabili dell’indifferenza scaturiscono anche da parole belle, ma che non provengono dal cuore. Il dolore che procuriamo agli altri non cambia a seconda che il gesto sia volontario o meno. Pensate a un medico che stringe la mano al paziente: il modo in cui ognuno di noi dà la mano ad una persona può dare dolore. Solo gli occhi bagnati dalle lacrime riescono a cogliere l’indicibile che c’è nel dicibile».