La fine è il mio inizio
Una fine senza fine. Lunedì si è conclusa la catechesi autunnale del Gifra, con la settima ed ultima conferenza del ciclo “Tra gli opposti nella vita”. Equilibrista sull’abisso della sua stessa anima, ogni uomo si divide tra verità e bugia, fede e dubbio, disperazione e rassegnazione, bene e male, egoismo e altruismo, come le diadi che sono state affrontate dai diversi relatori senza che fosse possibile risolverle, tanto sono un fattore parte ed essenza dell’altro.
Ultimo relatore Giannino Piana, docente di Etica da decenni e da ultimo presso le università di Urbino e Torino, che ha analizzato il rapporto tra io e prossimo. «L’egoismo – ha esordito – è l’accentrazione di sé, l’altruismo è il dedicarsi all’altro. Questo dovrebbe essere l’atteggiamento che guida tutto il nostro agire morale. Secondo Emile Durkheim – sociologo e antropologo francese vissuto tra ‘800 e ‘900 – quando si riflette sull’agire umano occorre considerare le azioni in cui l’uomo ricerca se stesso e le azioni in cui ricerca l’altro; nella seconda ipotesi il referente è l’apertura verso l’altro e solo questi ultimi sono “atti morali”, gli altri sono atti “non morali” o se vogliamo immorali». Il professor Piana non ammette un agire “amorale”, indicando ogni azione non compiuta per ricercare il prossimo come “opposta alla morale” e dunque ponendo un forte discrimine nell’antinomia egoismo-altruismo.
Ad una simile conclusione, secondo Giannino Piana, si arriva prendendo in considerazione i due pilastri del pensiero occidentale, la filosofia greco-romana e quella giudaico-cristiana. «Se prendiamo Aristotele, ma anche altri pensatori classici, tutta la sua riflessione etica e in particolare quella Nicomachea è costruita intorno ad alcune virtù, mettendo al centro la giustizia, ovvero il mio rapporto con l’altro, l’esercizio delle mie azioni tenendo conto dell’altro e del bisogno dell’altro. Pensando quindi a tutta l’etica ebraica, essa ruota intorno al decalogo, i primi tre comandamenti costituiscono la prima tavola religiosa, i rapporti dell’uomo con Dio, gli altri formano la seconda tavola, quella dei rapporti dell’uomo con l’altro uomo; questi sono tutti valori relazionali. La regola d’oro è “non fare all’altro quello che non piace sia fatto a te”, una formulazione imperativo negativa che sottende il rispetto dell’altro, contenente in sé dei valori».
Il cristianesimo va oltre questo rapporto di reciprocità, lo infrange per giungere da una logica di “vantaggio reciproco” ad una di “dono gratuito”. «Nel cristianesimo non c’è più solo questo, ma si arriva al capovolgimento di prospettiva, cioè “fai all’altro ciò che piace sia fatto a te”, devi impegnarti per l’altro, il valore centrale è la carità. La giustizia continua ad essere il fondamento, ma non basta più, occorre andare oltre con la carità. San Paolo, nella Lettera ai Corinti, fa un elogio della carità che va oltre ciò che è giusto, non basta dare qualcosa all’altro, bisogna dare se stessi. La carità è donazione di se stessi». Non a caso nel Vangelo Gesù ammonisce ogni uomo perché “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” (Lc 17, 33). «Anche filosofi non teologi come Ricoeur e Lévinas – il primo, Paul, morto nel 2005, il secondo, Emmanuel, nel 1995, entrambi francesi anche se il secondo di origine lituana – affermano che la reciprocità non è né cristiana né umana, va ricercata in qualche misura, ma per superarla. La logica cristiana implica l’andare oltre senza attesa di contropartita. La gratuità, perché come dice San Paolo “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Ecco perché siamo chiamati ad amare il nemico, per rompere la contrapposizione tra questi ed il prossimo che ci impedisce di prendere fino in fondo su di noi la logica dell’amore».
Difficile tuttavia immaginare un uomo in grado di lasciare alle spalle se stesso, come un novello oltreuomo nietzscheano, per essere puro altruismo. Accanto alla carità allora Giannino Piana pone due termini, il limite e la responsabilità, il primo come consapevolezza tanto della propria imperfezione quanto delle proprie potenzialità – «l’intero Nuovo Testamento tende alla perfezione: “siate perfetti come il padre vostro” ha valore normativo, ma come qualcosa che sta davanti e oltre e ci mostra il limite, ciò che dovremmo essere contro ciò che siamo, non come colpa, ma come invito ad un cammino continuo» – ed il secondo come presa di coscienza del confine esistente tra agire morale ed immorale. «Responsabilità deriva dal latino “respondeo” e noi siamo chiamati a rispondere: in prima persona, a qualcuno, di qualcosa. Rispondere in prima persona è mettere a frutto i doni e i talenti ricevuti, prendere consapevolezza delle proprie potenzialità e far fruttificare i carismi. Rispondere all’altro, a chi mi sta vicino, ma anche a chi è lontano, non dimenticando la miseria di alcune persone, nazioni, continenti. Ancora Ricoeur afferma che occorre superare la logica del personalismo, in cui l’altro è diretto, quotidianamente a confronto con me, per accorgersi anche del terzo, colui con cui non entrerò mai in contatto, distante nello spazio così come nel tempo. Infine rispondere di qualcosa, cioè metto in gioco i miei valori nella realtà concreta in cui devo muovermi, attuando un compromesso da intendere come capacità di far vivere quei valori quel tanto che è possibile nella situazione in cui mi trovo, consapevole al contempo che la virtù richiede di superare sempre se stessi e le situazioni».
In un movimento circolare, quasi a ricongiungere in un unico anello tutti e sette gli incontri, la responsabilità si scopre essere l’equilibrio tra il modello perfetto Dio, la verità e il bianco e il bene e la fede assoluti, e l’oblio totale, un sottile filo di lama su cui cammina il modello perfettibile, perennemente barcollante tra luce e ombra, bianco e nero, certezza ed incertezza, altruismo ed egoismo: l’uomo.
One thought on “La fine è il mio inizio”
Giuppy, grazie per il servizio svolto con magistrale dedizione!
Bravissimo!