Il Dio dell’ascolto
“Non vi è intelligenza senza emozione”. Così Ezra Pound liquida l’impassibilità di stoici, epicurei, scettici e, allargando un po’ l’orizzonte, buddisti, di tutte le impostazioni filosofiche e religiose che pongono alla base l’atarassia, “l’imperturbabilità del saggio di fronte alle passioni e alle vicende del mondo” (Gradit). Il rapporto negato per secoli tra sentimento e ragione è stato al centro dell’incontro di catechesi tenuto dal frate cappuccini Roberto Zappa dal titolo “L’ascolto delle emozioni e delle fragilità”, tenutosi lunedì scorso nel teatro del Gifra di Vigevano. «E-mozione – ha esordito frate Zappa – dove “motione” sta per movimento ed “ex” indica moto da luogo. Le nostre emozioni ci rivelano che siamo mossi dall’esterno, che non siamo del tutto autonomi. Ciò implica una particolare visione dell’uomo, in senso negativo perché ci dice cosa non è l’essere umano: l’emozione rivela che non siamo autonomi. Essere condizionati delle emozioni è positivo o negativo? Questo è già un interrogativo interessante, nella cultura classica costruita intorno al pensiero metafisico le emozioni e i sentimenti erano considerati una debolezza, qualcosa da cui prendere le distanze perché costituivano come un residuo della nostra natura animale che si contrapponeva frontalmente a ciò che l’uomo era in quanto culmine della natura, in quanto ragione e razionalità. Lo scopo era l’atarassia, una situazione di distacco dalla propria dimensione corporea e sensibile per raggiungere quel grado di imperturbabilità che consentiva di giudicare le cose secondo ragione, al di là della loro apparenza».
Cristiano ideale vs cristiano reale
Una derivazione del pensiero platonico, il quale differenzia il mondo concreto da quello delle idee, innate, ed ha influito grandemente nella formazione del pensiero cristiano attraverso il neoplatonismo. «Il pensiero metafisico – ha spiegato padre Zappa – quando parla dell’uomo parla del concetto di uomo, dell’uomo ideale, fa astrazione, lo presuppone perché lo contempla come già realizzato, perché appartiene al mondo eterno delle idee, secondo quanto insegnato da Platone. Quest’uomo è a monte rispetto alla vita, lo si conosce già prima ancora di vederlo nei suoi comportamenti esistenziali, non ha bisogno di essere ascoltato. Questa impostazione ha avuto conseguenze nella visione cristiana della persona, che ha ereditato in gran parte il pensiero platonico». Da qui l’ostilità secolare nei confronti della dimensione corporale, un’ostilità che tuttora permane in alcuni aspetti e parti della Chiesa e che deriva dal predominio assoluto della ragione e dell’idea sul sentimento e sull’emozione, usati dal francescano come sinonimi. «Nella prassi sacramentale della confessione auricolare, ad esempio, non c’era bisogno di ascoltare il penitente. Contava solo l’oggettività, al centro vi erano il cristiano ideale ed i comandamenti, il motivo non aveva di per sé nessuna rilevanza. Questa mentalità oggettiva rispetto alla morale non è del tutto scomparsa. L’uomo concreto che vive nello spazio e nel tempo tuttavia è intessuto di emozioni e questo elemento in precedenza era misconosciuto, disprezzato. Nondimeno non solo la ragione, ma anche il sentimento dicono la bontà dell’uomo. Questa è una visione più integrale, più completa, non limitata alla sola razionalità. Noi siamo impastati di emozioni e sentimenti».
Tra fragile ed essenziale
Una vera e propria svolta epistemologica, giunta a maturazione nel corso del Secolo Breve come effetto della rottura del precedente paradigma deterministico ad opera tra gli altri di Husserl, Kant, Nietzsche e successivamente Freud ed Einstein. «Ieri si insisteva sulla spiritualità, oggi forse troppo si insiste sulla riscoperta dei sentimenti, sulla importanza del corpo, fino a raggiungere una sorta di idolatria del corpo. Vi è una dittatura universale del sentire: sento così, allora è giusto che mi comporti così. Prima era tutto secondo ragione, adesso rischia di essere tutto secondo il sentimento. Le due posizioni devono essere integrate tra loro, l’arte dell’ascolto richiede un discernimento, non c’è sentimento senza ragione – e su questo Ezra Pound non concorda proseguendo con “ci può essere emozione senza troppa intelligenza” – allo stesso modo non sono un computer, sono condizionato in positivo dalla mia sensibilità». La perdita di un modello fisso e immutabile, etereo e perfetto, pone l’ascolto dell’uomo come tema centrale e ne recupera sia l’elemento razionale sia l’elemento irrazionale riconoscendo che l’uomo è fatto e dell’uno e dell’altro, non accostati, bensì mescolati tra loro in un’amalgama non più separabile. «Nel Piccolo Principe – ha argomentato il francescano – Antoine de Saint-Exupery scrive “non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Nella persona non c’è niente di risolto, ogni persona è un mistero che richiede di essere interrogato ed ascoltato». E ciò pone di fronte all’altro ed a se stessi, poiché, come ha affermato in precedenza don Pier Mario Ferrari nell’incontro dedicato all’ascolto dell’altro, ascoltare l’altro è sempre anche ascoltare se stessi ed ascoltare è sempre esplorare la propria fragilità: «L’ascolto dell’altro è anche ascolto di sé e questa consapevolezza apre una zona d’ombra dentro la quale si affollano le domande fondamentali della vita. Chi sono? Quale è il senso del mio esistere? L’ascolto è difficile allo stesso modo perché sé tu ascolti l’altro e quindi lo incontri nella sua fragilità allora diventi responsabile di lui».
Dio è ascolto
E se con Blaise Pascal “tra noi e l’inferno o tra noi e il cielo c’è solo la vita, che è la cosa più fragile del mondo”, quali sono questo inferno e questo cielo, le due estremità tra cui si muove l’esistenza? «La paura dell’adulto e la fiducia del bambino», le due emozioni fondamentali della socialità al punto che Howard Philips Lovecraft considera la prima “la più antica e potente emozione umana”. «È possibile superare questa precarietà? Ascoltare le emozioni senza esserne travolti? La Bibbia a mio avviso offre una via audace di soluzione, quando presenta un Dio sensibile che fa dell’ascolto emozionale una vocazione. Il Dio biblico trasgredisce una caratteristica fondamentale della divinità: l’imperturbabilità. Il dio metafisico è motore, ma non si muove, non è mosso, ecco l’emozione. Nell’Esodo si dice che “Dio ascoltò il grido del suo popolo” e vi rispose con una emozione tutta sua, tramutandosi in un atto di liberazione. Dio è il vero ascoltatore, che ci conosce nell’intimo. Questo è il Dio biblico, contrariamente agli idoli che hanno orecchi e non odono. Gesù ribadisce il primato di questo ascolto coinvolgente che è prima di tutto di Dio e dunque anche del suo inviato. Il suo amore guarisce, perdona, porta nuova speranza; egli si arrabbia, piange, si entusiasma, discute anche con i farisei, è tutt’altro che impassibile, prova dei sentimenti. Se Dio è così allora anche Dio è fragile? San Paolo si pone il problema quando presenta ai pagani il salvatore morto in croce: questa debolezza di Dio è più forte degli uomini, perché è la debolezza invincibile dell’amore». Infine perciò l’ascolto è la dimensione ontologica di Dio, che «è in grado di non naufragare in mezzo a noi, nel nostro mare. Scende agli inferi, ma ne risale salvandoci».