Crisi dell’impegno comunitario: dalla diagnosi alla terapia
La catechesi del Gifra procede nell’esplorazione della Evangelii Gaudium (Eg). Lunedì sera è stata la volta di frate Luca Margaria, guardiano del convento di Bra, che ha condotto i presenti alla scoperta del secondo capitolo dell’esortazione apostolica, “Nella crisi dell’impegno comunitario”. «Immaginiamoci – ha esordito – come missionari, ci guardiamo intorno per capire dove andremo, per comprendere la cultura, la lingua, la storia del luogo perché con la comunità che incontreremo saremo chiamati a condividere la gioia dell’annuncio. Mentre gettiamo questo sguardo dobbiamo stare attenti a non cadere in quello che Papa Francesco chiama “eccesso diagnostico”. Noi abbiamo bisogno che ci sia anche una terapia dopo la diagnosi». Di scendere nel concreto , un invito che è dello stesso pontefice, quando nel paragrafo 108 scrive “non ho voluto offrire un’analisi completa, ma invito le comunità a completare ed arricchire queste prospettive a partire dalla consapevolezza delle sfide che le riguardano direttamente o da vicino”. «Per farlo – ha dichiarato padre Luca – è necessario tenere conto dei giovani e degli anziani perché “entrambi sono la speranza dei popoli. Gli anziani apportano la memoria e la saggezza dell’esperienza, che invita a non ripetere stupidamente gli stessi errori del passato. I giovani ci chiamano a risvegliare e accrescere la speranza, perché portano in sé le nuove tendenze dell’umanità e ci aprono al futuro”».
Le sfide del mondo
Per andare a fondo nella crisi vissuta dall’impegno di essere comunità occorre essere consapevoli delle sfide che le comunità hanno di fronte. «Ci deve essere – ha detto il cappuccino – la consapevolezza che viviamo in una fase di svolta storica. Guardiamo ai progressi scientifici e medici, che toccano non solo la qualità, ma anche il senso della vita e sono perciò una sfida. Tra le sfide vi è anche quella della precarietà, molti lottano per vivere e spesso per vivere con poca dignità. Il Papa scrive che “crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente. Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità”. Vi assicuro, se andate in Africa trovate molte più persone che sorridono». Di prova in prova non è possibile non citare «l’economia di esclusione, che il Papa riferisce anche a un certo modo di vivere questa economia. Fa notizia uno spread che sale o che scende piuttosto che la morte di una persona o la sofferenza di un popolo. C’è una differenza rispetto al passato perché se prima le persone erano sfruttate ora sono “rifiuti, avanzi” (53). “Gli esclusi continuano ad aspettare” mentre noi “diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri” (54)». Un altro no è quello all’idolatria del denaro: «Un aspetto – ha spiegato frate Luca – che sottolineo perché mi sembra sia molto vicino alla nostra vita di tutti i giorni e perché c’è una lettura profonda fatta dal Papa, che mette in luce come ci sia una crisi antropologica del concetto di uomo. L’uomo è considerato uomo in quanto consuma. Da cui anche “no al denaro che governa anziché servire”, un no che si contrappone al rifiuto dell’etica e di Dio, visti come minacce controproducenti perché condannano la manipolazione e la degradazione della persona».
Popolo e città
Vi sono poi due aspetti che il relatore ha voluto mettere in particolare rilievo e che come i precedenti interpellano la comunità e i cristiani: il concetto di popolo e le culture urbane. «Il Papa – ha ricordato – ha uno sguardo molto positivo verso il popolo, inteso come luogo teologico in cui Dio si manifesta. Anche il Papa è figlio della Chiesa, lo ha detto al ritorno dalla Gmg a Rio de Janeiro. Ma bisogna stare attenti perché esiste un cristianesimo devozionale che non corrisponde alla pietà popolare del popolo e dal quale il pontefice invita a prendere le distanze». Perché se Dio si manifesta nel popolo, la dottrina si conferma nel Catechismo, che aiuta il popolo a sfuggire il rischio dell’inculturazione. Accanto a questo si colloca inoltre il tema del confronto con le polimorfe culture urbane. «Pensate – ha commentato frate Luca – a un vescovo come quello di Città del Messico, 25 milioni di abitanti, un quarto o più dei messicani che vive nella capitale. Se questo vescovo non si interroga sulla città come luogo dell’evangelizzazione, rischia di perdere la sua comunità. La città ha bisogno da parte della comunità cristiana di uno sguardo amorevole, contemplativo, capace di scoprire Dio che abita nelle strade e nelle piazze».
Sfuggire alle tentazioni
Di fronte a sfide capaci di soverchiare persone e comunità è facile perdersi. «Il Papa – ha sottolineato il francescano – dedica una sezione alle “tentazioni degli operatori pastorali”, quanti in vario modo partecipano alla pastorale. Il santo padre chiude i capitoletti dedicati a queste tentazioni con delle esortazioni, che secondo me sintetizzano al meglio gli atteggiamenti da combattere per rispondere alla “crisi dell’impegno comunitario”. “Non lasciamoci rubare l’entusiasmo missionario” (80), “non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione” (83), “non lasciamoci rubare la speranza” (86), “non lasciamoci rubare la comunità” (92), “non lasciamoci rubare il Vangelo” (97), “non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno” (101), “non lasciamoci rubare la forza missionaria” (109)». Si parte dalla pratica di questi consigli per riscoprirsi comunità.