Alla scoperta dei santuari diocesani
Santuari diocesani. Anche nella diocesi di Vigevano esistono diversi santuari che attestano la devozione mariana. Il penultimo appuntamento con la catechesi autunnale del lunedì riporta il Gifra all’interno del proprio territorio grazie all’intervento di don Stefano Cerri, parroco di Scaldasole ed ex parroco di San Cristoforo in San Pietro Martire. L’attenzione del relatore è stata rivolta ai santuari di Casaletto a Valle, della Bozzola a Garlasco, di Pompei e dell’Immacolata a Vigevano, con l’aggiunta delle chiese della Madonna Addolorata e della Madonna della Neve sempre a Vigevano. «La devozione a Casaletto – ha spiegato – non è frutto di un miracolo, ma di un ritrovamento. C’era un’immagine della Madonna nella chiesa di Moncalvo che era stata rovinata accidentalmente da un badilante, il quale le aveva levato un occhio con un colpo. Da quell’incidente era nata una forma di devozione, ma poi l’immagine era sparita ed è stata ritrovata nella zona di Valle, dove è stato costruito il santuario. Non è un fatto verificato, ma un’occasione, una circostanza esteriore. C’è molto di opinabile e così anche sulla Bozzola: Maria, una ragazza tredicenne sorda o cieca – non si capisce bene – sarebbe stata guarita da un’immagine della Madonna poi trasportata nel luogo dove è sorto il santuario». Più legato alla devozione dell’uomo la storia dei santuari e delle chiese vigevanesi: il santuario della Madonna di Pompei fu fortemente voluto da don Ambrogio Ceriotti, fondatore anche del Pio istituto derelitti, come ex voto per la guarigione da una malattia. L’allora vescovo monsignor Pietro Berruti dapprima ne ostacolò la costruzione, arrivando a togliere i paramenti sacri al sacerdote, quindi dopo l’intervento della Santa Sede la fece procedere sino all’inaugurazione del maggio 1926, un anno dopo la morte di don Ceriotti, raffigurato nella statua nel piazzale dell’edificio. Il santuario della Madonna Immacolata è grosso modo coevo a quello di Pompei e fu edificato sempre su mandato di mons. Berruti, «ma dietro – ha precisato don Cerri – c’è il pensiero di padre Pianzola, che stava ideando in quel periodo la catechesi per gli ultimi, nei cascinali». Le altre due chiese sono legate alle due confraternite che le costruirono: «Si occupavano – ha argomentato il sacerdote – di confraternite che si occupavano della catechesi dei bambini e delle pie sepolture, pagando le bare per i più poveri. Come vedete gli interlocutori della Vergine sono sempre gli ultimi, gli umili, il popolo che Cristo amava di più».
Devozione mariana. Parallelamente a questo excursus locale, don Cerri ha allargato il discorso alla devozione mariana tout court. «La chiesa permette nella fede qualche espressione di spontaneità o ci obbliga a una rigida celebrazione domenicale e a rigidi riti? Non dobbiamo pensare che nei santuari ci vadano solo le persone con tasso di emozionabilità più alto del normale. Anche se fosse, sarebbe un limite o una risorsa? Emozionarsi è un limite o una ricchezza? L’emozione è una risorsa e la chiesa, senza esprimerlo nelle dichiarazioni teologiche, ha sempre lasciato uno spazio a questo aspetto emotivo che non deve temere di essere difettoso perché è intuizione e slancio. Prendiamo solo il campo dell’arte: se l’artista non avesse l’emozione resterebbe immoto. La Chiesa si serve della ragione per esprimere la Fede: una forte devozione mariana non obbedisce a questo, non perché irrazionale, ma perché segue un suo percorso diverso». Per questo motivo le apparizioni non sono dogma: «Le apparizioni – ha spiegato il relatore – sono opinabili. E, andando a fondo, a essere opinabile non è il dogma, ma può esserlo il luogo, il tempo, il soggetto. Ho citato le nozze di Cana: la Madonna dice “fate quello che vi dirà”, fidatevi di lui. Il non opinabile è lui, il Cristo. In ogni santuario è Maria che ci apre la porta, ma poi si discosta e fa un passo indietro perché è il cristo che dobbiamo ascoltare». Per questo nei suoi messaggi non aggiunge niente alla Rivelazione, che è compiuta in Gesù, ma si preoccupa di questioni più contingenti. «I grandi studiosi, come il teologo René Laurentin – primo teologo citato in sei incontri di catechesi, ndr – dicono che ogni messaggio è chiaro e ha come riferimento l’oggi. A Lourdes c’è l’immediatezza del tempo: la Madonna conferma la difficoltosa proclamazione dell’immacolata concezione. C’era un settore di teologi che non era convinto della proclamazione di questo dogma ed ecco che la Madonna dice in patois “Io sono l’Immacolata Concezione”. Maria sovente annuncia qualche castigo, ma non si tratta di allarmismo. E’ vigilanza: la Madonna chiede vigilanza, parla della fine del mondo non per fare catastrofismo, ma per prepararci. San Giovanni nell’Apocalisse ha fatto catastrofismo? No, ha preparato gli uditori a quello che San Paolo ha spiegato. La Vergine sfida sempre il presente, l’arroganza e l’alterigia di coloro che credono di avere la ragione del razionalismo».