Il santuario di Re in Val Vigezzo
La catechesi autunnale sulle apparizioni mariane si conclude in Val Vigezzo, al cospetto del santuario di Re dove si commemora non una apparizione, ma un miracolo. «Re – ha esordito il rettore del santuario don Giancarlo Julita – è al limitare della valle Vigezzo, al confine con la Svizzera. D’inverno il sole arriva alle 11.40 e va via alle 2.20, non è il posto più bello del mondo in questa stagione. In quel piccolo villaggio, che nel 1494 era parte del ducato di Milano, c’era una chiesetta al cui esterno era dipinta un’immagine della Madonna che allatta Gesù Bambino. La sera del 29 aprile 1494 un uomo, Giovanni Zucono, scaglia una pietra e colpisce l’immagine: la gente vede che nei giorni seguenti da quell’immagine sta sgorgando sangue, questa notizia fa il giro della valle e giunge alle orecchie del podestà della Val Vigezzo, Daniele Crespi di Busto Arsizio, il quale si reca sul posto e mette per iscritto la sua testimonianza, assicurando che dalla sera del 29 aprile fino al 18 maggio successivo, a intervalli, dall’immagine della Madonna dipinta sull’esterno della chiesa di San Maurizio è sgorgato sangue. I pellegrinaggi sono iniziati in seguito a questi fatti, il vescovo di Novara non permise che quell’immagine fosse rimossa, perciò si costruì una nuova chiesa più grande per poi demolire la prima e lasciare solo la parte di muro con l’effige della Madonna. Infine è stato costruito il tabernacolo che custodisce l’immagine». Nei primi decenni, nessun vescovo si interessò allo sperduto santuario – situato in un recesso difficile da raggiungere e con un collegamento reale costruito solo nel Novecento – fino a quando monsignor Carlo Bascapè, tra ‘500 e ‘600, non vi si recò in visita in tre occasioni, stabilendo la scomunica per chi raschiava parte del muro. Da allora «la devozione è stata approvata dalla Santa Sede con l’istituzione nel 1822 di una messa propria della Madonna di Re» e si è diffusa anche nel nord Europa grazie agli spostamenti degli spazzacamini.
Tre spunti. Questa la vicenda, di cui don Julita ha sottolineato tre diversi aspetti, concentrandosi sul soggetto della raffigurazione, sulla presenza di un pellegrinaggio ininterrotto da cinque secoli e sulla visita da parte di diversi santi, canonizzati e non. «Un primo spunto – ha spiegato – è l’immagine stessa, che riporta un cartiglio con la frase “in gremio matris sedit sapientia patris”, “la sapienza del padre siede sulle ginocchia della madre”. Il soggetto dell’immagine non è la Madonna, ma Gesù che è la “sapienza del Padre”. La missione di Maria è intrinsecamente connessa al disegno che Dio le ha indicato, di essere madre e strumento. San Luigi di Monfort dice che “Maria è la via facile, breve, perfetta e sicura per arrivare a Cristo perché per questa via il figlio di Dio si è fatto nostro fratello ed è venuto in mezzo a noi”. Il venerabile don Silvio Gallotti, che per noi è come il beato Francesco Pianzola per Vigevano, nel 1921 dice dell’immagine “che rozzo pennello avea dipinta”, ma quel rozzo pennello sapeva bene la teologia». Secondo passaggio, la “fortuna” del santuario: «A Re – ha detto il relatore – c’è un pellegrinaggio che non conosce interruzioni da 520 anni. Chi convoca quella gente in questo luogo? Domenica scorsa era una domenica infernale, acqua, umido, eppure le messe erano piene di fedeli. Andare al santuario di Laus in Francia richiede di compiere un bel cammino e il santuario non era approvato, eppure il pellegrinaggio dura da 400 anni. Maria è presenza viva, se non ci fosse una presenza viva il popolo, che non è bue come pensava qualcuno all’inizio del Novecento, lo saprebbe discernere». Ultimo passaggio la devozione. «Quando pensiamo a Re dobbiamo pensare a tutti i santi che si sono succeduti in preghiera davanti alla Madonna, santi non solo canonizzati, ma anche quanti facevano sacrifici veri e propri per fare una sorta di “esercizi spirituali” a Re. Noi viviamo in un momento in cui ci sono tanti turisti ed è un bene, ma vogliamo parlare dei pellegrini, coloro che vanno a cercare un incontro, un significato profondo, il volto materno di Maria. Nel 1931 il Beato Pianzola andò a Re e voleva aprire una casa in quel luogo, perché voleva che le sue suore potessero attingere all’eterna “sapienza del padre”».
Oasi. Così l’immagine del santuario si confonde con quella della stazione di posta lungo la via della fede. «Papa Francesco – ha commentato don Julita – nella Evangelii Gaudium afferma che “attraverso le varie devozioni mariane, legate generalmente ai santuari, Maria condivide le vicende di ogni popolo che ha ricevuto il battesimo ed entra a far parte della sua identità storica. E’ nei santuari dove si può osservare come Maria riunisce intorno a sé i figli che con tante fatiche vengono pellegrini per vederla e lasciarsi guardare da lei”». Per questo motivo «la Chiesa non può camminare senza Maria, sarebbe una grande eresia». «Dobbiamo stare attenti, quando lo hanno fatto è nato l’idealismo, allontanando Cristo da noi. Cristo non è un’idea, ma è vero uomo. Vorrei concludere rivolgendo quelle parole che l’angelo dice a Giuseppe: “Non temere Giuseppe di prendere con te Maria come tua sposa”. Queste parole le sento profondamente mie: non temere di accogliere Maria e sperimenterai la sua materna intercessione e sarai accompagnato sulla strada del Vangelo» .