L’ascolto è amore
Ascoltare sì, ma ascoltare chi? Nell’ultimo incontro della catechesi autunnale del Gifra dedicata all’ascolto l’attenzione si sposta dall’azione all’agente, dal verbo al soggetto. «Vorrei parlare – esordisce don Stefano Cerri, parroco di Scaldasole e vecchia conoscenza dei cicli di conferenze del Gifra nei lunghi anni trascorsi come parroco di San Pietro Martire – della persona o della realtà che ha bisogno di ascolto. “Chi è il mio prossimo?” è un interrogativo preso dal testo evangelico di Luca. Riconoscere chi ha bisogno di ascolto è diventata un’impresa difficile, le richieste di ascolto sono spesso manipolate. Alcuni operatori della Caritas di recente mi hanno detto “oggi per fare la carità bisogna essere un po’ poliziotti”».
La prossimità
Per questo motivo, prima di conoscere il prossimo è importante comprendere il concetto di prossimità. «La vicinanza verso un estraneo – si interroga don Cerri – è da costruire? Mi apro al prossimo perché ho un’ispirazione oppure questo estraneo è fornito di una vicinanza nativa? L’estraneità è frutto di elementi estrinseci, temporanei, la vicinanza fa parte di un DNA, di una dimensione nativa dell’uomo e del cristiano. Vicinanza è dovere o dono? direi che diventare prossimi è non solo dovere, ma anche dono. Saper ascoltare è una risorsa che mi viene offerta, non un semplice dovere. L’uomo è nato per avvicinare, sono le distorsioni della psicologia umana che allontanano. Gesù ci dice “amerai il prossimo tuo come te stesso”. Il secondo comandamento dell’amore è simile al primo, amare il prossimo è simile ad amare Dio. Non come un estraneo, ma come se stessi, perché le persone appartengono tutte alla stessa ed unica sfera di dignità umana che Dio ha dato all’uomo». Un programma impegnativo, che richiede ad ogni individuo di avere per chi lo circonda, noto o ignoto, lo stesso affetto, la stessa dedizione, lo stesso amore che avrebbe per se stesso, un impegno che secondo il relatore si può prendere solo attraverso il perdono, inteso etimologicamente come “per-donare”, dove “per-” è prefisso intensivo e “donare” sta proprio per “dare ad altri spontaneamente e senza compenso”. «Come si può – spiega il sacerdote – recuperare l’uguaglianza tra uomini? Attraverso il perdono. Noi tante volte identifichiamo aiutare il prossimo con delle offerte, ma vi sono offerte di prossimità ben più profonde. Chi perdona diventa veramente prossimo, è il buon samaritano. Ci facciamo ingannare dalla parabola, non bisogna ammirare il samaritano per quello che fa, ma per quello che diventa. Ci sono tanti elementi che ci conducono a capire cosa significa vivere la prossimità; certo, anche servizi di carità come la mensa, il dormitorio o l’armadio dei poveri hanno un valore, ma le radici son più profonde, non solo dare quello che si ha, ma diventare uguali a chi non ha, al nostro prossimo».
Il buon samaritano, cristiano esemplare
Il significato della prossimità cristiana è reso in modo esemplare proprio dal buon samaritano: «Colui cha ha bisogno vive una vita di sofferenza. “Lo lasciarono mezzo morto”; il sacerdote ed il levita passarono oltre: non tocca a me, tocca a qualcun altro. E’ così anche nel presente, la Caritas non ha per fine fare beneficenza, ma promuovere lo spirito di carità, è un modo elegante di “passare oltre”, il levita ed il sacerdote si erano resi conto del problema, ma pensavano non toccasse a loro. Poi passa un samaritano, straniero e lì per caso, il più giustificato a chiamarsi fuori, eppure questo samaritano si inventa prossimo. Versa olio e vino, due alimenti preziosi, per tavole di un qualche prestigio; lo carica sul suo giumento, è la rivoluzione delle relazioni. Chi aveva diventa povero, chi poteva godere dell’agio della cavalcatura se ne priva ed eleva chi non ne aveva neanche il mezzo; dà i due denari all’oste il giorno seguente. Cosa poteva fare di più? Invece si preoccupa anche del domani: “tornerò e ti darò tutto quel che hai speso, prenditi cura di lui”. Quante volte ci limitiamo a dare il superfluo? Il samaritano non solo ha dato, ma ha anche dedicato. Questa parabola è più ricca di atteggiamenti che di azioni: è la mistica della carità». Ed è mistica dell’ascolto, almeno a giudicare dalle numerose volte in cui il buon samaritano si è affacciato come esempio nelle discettazioni dei relatori, citato da don Cerri come da quasi tutti quelli che lo hanno preceduto, quasi ad indicare che l’ascolto altro non è se non una delle espressioni della carità e, siccome «Deus caritas est», di Dio stesso.
L’inno alla carità, inno all’ascolto?
In questo senso non sembra casuale che don Cerri concluda il suo intervento proprio citando l’inno alla carità contenuto nella prima lettera ai Corinti di San Paolo (I Cor 13, 4-8). «“La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine”. Fino alla fine di questo inno nessun accenno alto, nobile, ma un tono dimesso. Eppure la prossimità, anche se coniugata in questi atteggiamenti da tinello, da strada, da ufficio, non avrà mai fine. Perché io devo essere prossimo? Se io divento prossimo non affronto il bisogno, ma affronto il negativo che è toccato al mio fratello. Il suo volto, che raffigura Cristo, è sfigurato… il prossimo è Cristo che si nasconde dietro il volto di un bisognoso. “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40)». Perché se l’ascolto è sinonimo di carità in ugual misura carità è usato nel Nuovo Testamento come sinonimo di amore, cosicché anche ascolto è sinonimo di amore, un sillogismo che racchiude il messaggio di questi sei incontri di catechesi.