Ascoltando papa Francesco
Ascoltando papa Francesco. La catechesi dell’ascolto passa dalla teoria alla pratica e lo fa cercando di “ascoltare” niente meno che il pontefice, il quale nel giro di circa undici mesi ha lanciato messaggi e compiuto gesti capaci di sovvertire logiche ormai assunte quasi a livello di dogmi, rimettendo in moto una macchina che negli ultimi tempi era stata messa sotto accusa da più parti per la lentezza nel riformarsi, cambiare e stare al passo coi tempi. «Papa Francesco – esordisce il relatore don Gianni Colombo – continua a vivere la sua vita. Ogni giorno dà spazio alla preghiera, voi sapete che al mattino celebra la messa con la gente, non vuole celebrarla da solo e anche quando era arcivescovo non lo facevo. Le omelie che fa ogni mattina sono mordenti, poi conclude la giornata con un’ora di adorazione la sera. Ha chiesto di essere solo davanti al santissimo sacramento e una sera sì una no si addormenta. “Il momento più bello – dice – perché io lì non prego Gesù, ma so che lui mi guarda”. E’ un uomo che non vuole restare solo con Dio, ma vuole restare con Dio e nella gente; per questo ha scelto di non stare nell’appartamento pontificio».
Un pastore che vuole stare in mezzo alla sua comunità e che non ha caso sin dall’inizio ha sottolineato il suo essere vescovo più del suo essere papa: «Quella sera del 13 marzo 2013 – ricorda don Colombo – ricordate quel “buonasera” con cui ha esordito. Non era preparato, lui è così, faceva così da vescovo e continua. Un saluto familiare e non solenne, poi anziché “cari figli e figlie” come da tradizione ha preferito dire “cari fratelli e sorelle”, trovando subito una linea di familiarità tra il vescovo e la sua gente. I cardinali non li ha chiamati “eminentissimi”, ma “carissimi fratelli”, guardando i testi di quella sera si può vedere lo stile nuovo adottato. Senza dimenticare il grande gesto di chiedere di essere benedetto prima di benedire; io ricordo il silenzio in quel momento. Centomila persone che hanno fatto silenzio, è stato affascinante e mistico. Ha sorpreso subito la sua semplicità, ha rifiutato la croce d’oro e ha tenuto la croce di ferro. Non è vero che ha detto “il carnevale è finito” come è stato riportato, anche se non ha voluto mettere la tradizionale mantellina. Poi quella prima sera si è sempre chiamato “vescovo di Roma”, cosa che ha stupito ad esempio i protestanti e gli ortodossi. Non ha messo in primo piano il suo essere papa. Gli avevano preparato la limousine, lui ha preso il primo pulmino al volo per santa Marta ed è partito con i cardinali».
I gesti di papa Bergoglio raccontano la volontà di trasmettere in maniera plastica il cambio di passo, il nuovo corso della Chiesa, che si rivela anche nella recente nomina di nuovi cardinali, che saranno creati tali nel concistoro del prossimo 22 febbraio. «Non ha scelto – racconta il sacerdote – le sedi cardinalizie tradizionali, ma ha dato valore simbolico alle persone: ha scelto l’arcivescovo di Perugia – Perugia non è sede cardinalizia, ndr – conosciuto come uomo di Dio e in mezzo alla gente, anche il segretario di Giovanni XXIII, ha voluto dare segnali di vicinanza e li ha nominati senza chiedere a nessuno il parere. Tutti i cardinali nominati lo hanno scoperto dalla televisione». Proprio l’arcivescovo di Perugia monsignor Gualtiero Bassetti ha raccontato del suo stupore per una nomina del tutto inaspettata, al punto da riprendere bonariamente alcuni fedeli che si congratulavano con lui ancora ignaro della nomina e convinto che fossero chiacchiere infondate. Accanto a quelli ufficiali, vi sono poi i gesti della quotidianità, altrettanto importanti. « La famosa borsa – spiega don Gianni – che portava dappertutto e sembrava quasi contenesse la chiave della bomba atomica: “Ma io ho sempre portato la mia borsa, non ho mai avuto un portaborse. Avevo il rasoio, il breviario”, ha spiegato». Un messaggio di semplicità e umiltà che vuole essere il perno del pontificato, rimarcato sin dalla scelta del nome di Francesco, omaggio al santo di Assisi e a quei poveri di cui un cardinale in conclave gli chiese di ricordarsi appena fu evidente che aveva raggiunto il numero di voti necessario per essere eletto. E papa Francesco i poveri va a cercarli in fondo a quelle che lui ha definito “periferie esistenziali”, a partire dalla prima visita da pontefice fatta a Lampedusa, per proseguire con i numerosi fuori programma durante la Giornata mondiale della gioventù in Brasile.
Vi è poi un altro segno attraverso il quale il Santo padre ha dimostrato di voler introdurre una discontinuità – ed è bene precisare rispetto a situazioni della Chiesa che già Benedetto XVI pensò di cambiare, poiché il paragone non è tra i due pontefici, ma tra loro e una certa concezione dell’immagine e delle funzioni della Santa Sede – e sono i segni prototipici dell’ascolto, le parole. «Dove Francesco ha rivelato il suo cuore, accanto all’encliclica scritta a quattro mani “Lumen fidei”, è nella “Evangeli gaudium”: è travolgente la sua passione. L’ha scritta di suo pugno. Si fa capire davvero come Gesù vuole essere l’amico dell’umanità. Leggerlo vuol dire entrare nel cuore di Francesco». A partire da questo testo don Colombo identifica alcune parole chiave emerse in questi undici mesi di pontificato, ovvero «gioia, perdono, misericordia, umiltà, ecumenismo, l’immagine della Chiesa come ospedale da campo ripresa da don Primo Mazzolari, che lui conosce bene».
«In un’omelia ha detto che “un cristiano dal volto triste è un cristiano che fa paura”. Lui invita al dono della gioia. Il secondo dono è quello della misericordia. Vi invito a tener d’occhio ciò che lui dice veramente, perché si sta diffondendo la moda di tirare fuori dal contesto le sue frasi; è stato attaccato severamente dalle ali più conservatrici perché non tocca i grandi temi della vita, dell’aborto, ecc. Il papa dice che è dottrina della chiesa. Se continuo a ribadire dei precetti non entusiasmo, se il Vangelo è solo una serie di doveri nessuno si innamorerà mai solo dei doveri. Lui invita tutti noi a rimettere al centro l’incontro con Gesù; se una persona incontra Gesù non diventa perfetta, ma è più consapevole e ha una marcia in più per vivere il Vangelo. Dice: “Nella mia vita personale ho visto tante volte volto misericordioso di Dio, la sua pazienza. Ho visto anche in tante persone il coraggio di andare al cospetto di Gesù dicendogli, Signore sono qui, accetta la mia povertà… non stancatevi di chiedere perdono al Signore”. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono al Signore perché siamo superbi e non vogliamo inginocchiarci davanti a lui. Adesso sta cercando di coniugare la misericordia pastoralmente, affrontando temi duri come la pastorale dei divorziati e dei conviventi. Poi nell’intervista a Civiltà Cattolica ha raccontato che “nella mia vita ho sempre avuto una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, vissuta nei vizi, Dio è nella sua vita, lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita della persona è un terreno di spine e di erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio». Per questo occorre non chiudersi in se stessi, ma aprirsi: «Nella veglia di pentecoste si rivolge ai movimenti ecclesiali e gli chiede “non chiudetevi per favore, questo è il pericolo, ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, col movimento, con le persone che pensano le stesse cose. Ma sapete cosa succede quando le persone fanno così? Quando la Chiesa diventa chiusa? Si ammala. Una Chiesa chiusa è una chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire, verso le periferie esistenziali, qualunque esse siano”». Perché la Chiesa deve rifuggire non i peccatori, di cui pure è fatta, ma la corruzione perché «il corrotto è quello che fa il male e lo giustifica e coinvolge gli altri. “Tu hai preso tutta quella barca di soldi e fai mangiare ai tuoi figli un pane avvelenato”. Il papa dice “i corrotti devono fare penitenza e convertirsi prima del giudizio di Dio”».
Una figura difficile da etichettare quella di papa Bergoglio, che forse si può esemplificare con l’etica contadina piemontese di sua nonna Rosa, di cui lui stesso riporta i valori in uno scritto citato a chiusura di incontro da don Colombo. “Sobrietà, semplicità, discrezione e poi – in dialetto – ‘esageruma nunta e fa’l tu duver’”.