La speranza
Una società che ha perso la Speranza o che affoga in mezzo a troppe speranze? Il vescovo di Vigevano monsignor Maurizio Gervasoni affronta il tema de “La speranza nell’assordante società di oggi” nell’incontro di catechesi del lunedì al teatro Gifra di Vigevano. «Preferisco – esordisce il vescovo Gervasoni – stare sul terreno della speranza, anche se non eviterò l’attenzione alla società di oggi, ma già definirla “assordante” esige una presa di posizione che dovrebbe essere giustificata per non ridursi a sensazione. Altri piuttosto la definiscono “ricca” di opportunità rispetto al passato. Il sentimento che finisce col prevalere in una società con così tante offerte è quello della contingenza. Non è vero che dà maggiore libertà, il più delle volte rende incerto, pensate al comprare un’automobile: quando ero giovane erano pochi i modelli, oggi uno diventa matto. La società è segnata da una sensazione di precarietà legata a un eccesso di proposte e a una scarsa presenza di linee guida condivise dalla società. In questo contesto cosa è la speranza?»
Quid est spes?
Nella seconda parte del Novecento vi è stata una corrente filosofico-teologica per la quale la speranza era la caratteristica fondamentale dell’essere umano, una sorta di aristotelico “l’uomo è un animale che spera”. Impostazione superata poiché si basava sull’implicita convinzione di un progresso continuo e ininterrotto di cui la fede si trovava ad essere categoria interpretativa. «Analizzo – commenta mons. Gervasoni – il concetto di speranza partendo da un atteggiamento cartesiano: metto in dubbio che sia una cosa ovvia sapere cosa sia la speranza. Ognuno di noi quando parla di speranza rischia di dire cose diverse, non univoche. “Spero di superare un esame” o “spero di non morire” sono due speranze molto differenti». La prima conseguenza è che non esiste un’unica speranza, ma diversi tipi di speranza e che uno stesso elemento può essere o meno oggetto di speranza a seconda della persona e della situazione. «Per un bambino – spiega il vescovo – di prima elementare il solo fatto di scrivere è oggetto di speranza, per l’adulto che ha acquisito questa capacità non lo è più, ma se si ha una paresi torna ad esserlo». La speranza potrebbe perciò essere un atteggiamento. «Ognuno – spiega il vescovo – associa la speranza al desiderio, noi speriamo che accada ciò che desideriamo. La mania del gioco aumenta, ma è una speranza illusoria: eppure quanti giocano perché sperano di vincere? Il desiderio porta con sé la speranza. La speranza è quello sfondo che sempre ci accompagna e grazie al quale siamo convinti di non essere delusi dalla vita. Il problema è che non sempre ciò che si desidera accade, per questo il desiderio sa di non essere sicuro del suo soddisfacimento». E se la speranza permane anche quando il desiderio si rivela irraggiungibile è perché si tratta di due concetti differenti, al netto delle speranze che si risolvono nel mero desiderio la speranza si definisce in equilibrio tra desiderare e realizzare.
Palestra di realismo
«Abbiamo imparato – argomenta mons. Gervasoni – che la certezza che guida la nostra esperienza si misura sempre con l’insieme delle frustrazioni che abbiamo vissuto. Sono proprio queste a farci capire che non siamo onnipotenti e che non tutto ciò che vogliamo accade; per certi versi la speranza è un correttivo dell’onnipotenza del desiderio a fronte del realismo». Sperare richiede il realismo per non configurarsi come illudersi, condizione della mente e dello spirito del tutto differente da quella di chi spera. «A priori anche l’illusione potrebbe essere speranza, invece la speranza al contrario dell’illusione è verosimile. La speranza si costruisce dialetticamente nel confronto col realismo grazie all’interdizione, alla frustrazione».
… nell’assordante società di oggi
Appurato cosa sia la speranza è possibile rispondere alla domanda di partenza. «Oggi – riflette mons. Gervasoni – sono cambiate le speranze. Nel dopoguerra i giovani desideravano fare gli artigiani, oggi le statistiche rivelano che si spera in un lavoro vicino casa, di tipo relazionale e che lasci libero il fine settimana. La speranza finisce con l’essere troppo vicina al desiderio e poco alle condizioni dell’agire. Cosa vuol dire sperare nell’assordante società di oggi? Uno studio di Zygmunt Baumann si intitola “Consumo ergo sum” e descrive quanti identificano la speranza con l’oggetto senza essere mai contenti». Oggetto da intendere non concretamente, ma come tema dell’azione di sperare secondo la distinzione tra verbo transitivo e intransitivo, il primo con focalizzazione sull’oggetto e il secondo con focalizzazione sul soggetto. «La società assordante di oggi da questo punto di vista ne ha perfino troppa di speranza». Eppure si avverte la sensazione che qualcosa manchi: «Guardiamo i dati che ci vengono dai giovani, forza propulsiva della società ridotta a essere una delle categorie più frenate. Non è che proprio la mancanza della speranza teologale e la speranza che i beni di consumo bastino a soddisfare l’uomo siano le cause di questo disagio? Più che società assordante direi che c’è una società che maschera e illude, senza cercare ciò di cui l’uomo ha davvero bisogno». Basta pensare a come tante speranze scompaiano di fronte alla malattia. «I nostri desideri nascono per lo più da uno spirito positivo della vita, quando si sta male improvvisamente si spera solo di stare bene. Quando si sta bene si desidera altro».
Speranza
Di fronte alla sofferenza vi è un ridimensionamento delle speranze, ma ragionando in positivo il senso di precarietà può essere vinto non anche per eccesso. E’ lo stupore. «L’uomo è l’unico animale che accetta il rischio e sa lasciarsi stupire. Per quale motivo uno va a scalare vette impossibili? L’uomo percepisce il limite e lo vuole oltrepassare, rischiando di morire e affermando di non accontentarsi di vivacchiare. Questa speranza ha a che fare con lo stupore, quando nella vita una persona non si aspetta qualcosa di positivo, che invece accade. Non pensavo ci fosse una persona così bella».
Non tutto è programmabile dall’individuo, «ci sono esperienze che neppure si sarebbero immaginate e che riempiono il cuore di gioia e di beatitudine». Si tratta della speranza che dovrebbe riscoprire la società odierna. «Siamo arrivati – afferma il vescovo – al limite che Gesù indica. Quando l’uomo sperimenta il male come colpa tutto implode e si distrugge, quando si apre allo stupore del bene tutto rifiorisce, però non dipende da noi. Il dato più evidente dell’esperienza umana è che nessuno si è generato da sé, lo stupore più grande che dobbiamo imparare è quello di esistere come figli generati da qualcun altro». In quest’ottica il vescovo Gervasoni rilegge Marco 5, 21-40 (episodi dell’emorroissa e della figlia di Giàiro). «Perché Gesù insiste nel voler conoscere chi gli ha toccato il mantello? Perché invita a non dire niente a nessuno del miracolo della bambina? Gesù vuol far capire che anche se guarisci tra cent’anni sei morto lo stesso: a che serve guarire se non sai sperare la tua salvezza? Questa è la speranza più radicale e profonda che dobbiamo imparare a percepire». La speranza teologale, per comprendere che «la tua esistenza si realizza in quell’aspetto di speranza che si chiama amore e che coinvolge anche gli altri. L’amore per Dio e per il prossimo sono il fondamento della speranza».