L’annuncio della gioia
Terzo capitolo, “l’annuncio del Vangelo”. Al Gifra la catechesi quaresimale riparte dal cuore della Evangelii Gaudium, la gioia di una nuova evangelizzazione. «Che vuol dire – esordisce il relatore frate Marco Costa, cappuccino di Torino – nuova? La novità è il Vangelo, in forme nuove la parola che rimarrà sempre. L’evangelizzazione è il Vangelo e il Vangelo è gioia. Quando ricevo una notizia gioiosa il mio volto si trasfigura e ho voglia di trasmettere questa sorgente della gioia. Al paragrafo 110 il Papa – citando Giovanni Paolo II – scrive “non può esservi vera gioia senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore”. Questo è il basamento su cui possiamo costruire la nostra evangelizzazione». Scoprire Gesù vuol dire leggere il Vangelo, un testo «in quadruplice forma: il Signore non è un monolite, abbiamo bisogno di quattro vangeli, di quattro comunità diverse tra loro».
Omelia sentimentale
L’annuncio per essere credibile deve essere gioioso, parlare alle persone e interpellare nel momento, senza tendere a vette troppo lontane perché possano risultare appetibili. «Una parte del terzo capitolo – spiega don Marco – parla dell’omelia. “Omilein” significa “dialogo familiare” e dovrebbe essere indicativo del rapporto che il pastore dovrebbe avere con i suoi fedeli, il celebre “il pastore dovrebbe avere l’odore delle proprie pecore” detto da Papa Francesco. Si deve conoscere chi si ha davanti per sapere quale domanda ha il cuore della comunità in quel determinato momento storico». Per questo secondo il Santo Padre il predicatore che non si prepara è “disonesto” (145). «L’omelia – prosegue il francescano – non è catechesi, esegesi, lezione di teologia, non serve a nulla questo: un nostro predicatore ha usato l’immagine del cavalcare l’onda della prima lettura, della seconda e del Vangelo, che dovrebbero intercettare i nostri desideri, bisogni, fatiche». “La bellissima e difficile missione di unire cuori che si amano: quelli del Signore e quelli del suo popolo” (143). «Non è sentimentalismo a buon mercato – afferma il cappuccino – e comunque noi siamo anche sentimento. Quando si dice commuovere c’è il “muovere”: se quella Parola non ti muove, che cosa ti muove allora? I discepoli di Emmaus dicono “non ci ardeva forse il cuore mentre conversava con noi lungo il cammino?”».
La parola è atto
Non spetta solo al pastore occuparsi del gregge, sono le stesse pecore a doversi curare l’un con l’altra perché “ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione” (120). «Il papa fa riferimento “alla fede salda di quelle madri ai piedi del letto del figlio malato che si afferrano a un rosario anche se non sanno imbastire le frasi del Credo” (125). Vuole recuperare la pietà popolare, che non va disprezzata. Anche chi sgrana il rosario o non sa leggere e scrivere è importante, perché in quanto vivente crede in qualcosa o qualcuno. E quando la fede incontra il vivente, ecco il miracolo. Ognuno deve scoprire il suo ruolo nella Chiesa e nella vita, la prima e più grande delle liturgie. La fede passa attraverso il fatto che tu una donna cerchi di fare bene la mamma, la moglie, quando sbuccia quelle patate mentre magari vorrebbe fare altro». Così è possibile “portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare” (127). «E’ – ribadisce frate Marco – quella che il Papa chiama la predicazione informale».
La parola è gioia
Una predicazione che diventa efficace verso gli altri se prima dà frutto nella vita e nell’agire del cristiano. «Talvolta – ammette il sacerdote – deludiamo un po’ chi ci guarda. Non si sente quello che diciamo perché quello che siamo grida più forte: quello di cui parliamo è bello, ma poi quando osservano che le nostre opere non corrispondono alle parole cominciano a bestemmiare il nome di Dio. C’è bisogno di evangelizzatori, di discepoli che siano uomini migliori». Come? «San Francesco scrive che i frati devono essere lieti in volto. Ma non vi siete accorti che il mondo brucia? Non è un programma difficile quello della gioia? No. La gioia è disarmante, un volto lieto ti disarma». Occorre solo attingere a questa gioia: «Viene in mente la pericope del giovane ricco. Il Signore gli fa una proposta, perché il giovane vuole una vita eternamente sensata: ma lui non accoglie quella parola e se ne va via triste. Senza Vangelo non c’è la gioia». La gioia del Vangelo è il Vangelo stesso. Il cerchio si chiude.